Gian Paolo Giovannetti Pittore Racconti


APPUNTI DI UNA STORIA VERA


Stava per arrivare, come ogni anno, il tempo della vendemmia. La gente di questo piccolo paese, Giustagnana, era particolarmente affaccendata, abituata da sempre alla fatica nei campi ed al duro lavoro in cava.
Mio nonno Emilio in quei giorni scrutava il cielo più del solito, sperando nella clemenza del tempo. La raccolta dell’uva richiede energia e cura, e come un rito antico e magico attraversa tutte le stagioni, il sole di agosto e le prime piogge autunnali.
Intanto i muli cominciavano ad arrivare in paese con il carico d’uva spumeggiante e le donne, sorridenti e con le vesti al vento, portavano in capo i grandi cesti. Io allora guardavo con occhi birichini, seminascosto tra le botti, le loro affascinanti forme, tanto da sentire in me i primi turbamenti.
Finalmente l’uva appena raccolta cominciava pian piano a bollire nel grande tino, che come un gigante sovrastava tutta la cantina e che presto dal suo ventre sarebbe uscito a grandi flotti il dolce nettare dorato.
Intanto nell’aria si propagava silenziosamente, sotto forma di rugiada mista alla gradazione alcolica del mosto, un sottile profumo agro e dolce, quasi impercettibile, che saliva e riempiva in poco tempo la stanza.
Vedevo questi uomini girare e rigirare dentro ai bordi del tino, come due uccelli in gabbia, con le sole canottiere e mutandoni bianchi, che ogni tanto si macchiavano del rosso rubino, e che con il loro ondeggiare facevano ricadere e poi risalire i grappoli dell’uva.
Incuriosito mi arrampicai sulla scaletta in legno e mi affacciai in cima alla bocca del tino per vedere meglio il loro lavoro. Mi sono rimaste impresse nella mente le impronte delle loro mani che si sovrapponevano l’un l’altra mentre con maestria giravano attorno alla botte. Intanto con la sola forza dei piedi continuavano a schiacciare i grappoli. Le loro gambe mi apparivano bianche e magre, mi sembravano del colore del marmo.
Passarono pochi minuti ma già sentivo le gambe cedere e la mente annebbiarsi per i fumi. Fu allora che come in un sogno scivolai dentro questo piccolo vulcano in continua ebollizione. Velocemente Francesco e Vincenzo uscirono dal tino con me in braccio, e con le loro possenti mani mi adagiarono al fresco della piazzetta, appena fuori dalla cantina.
Poco dopo mi risvegliai e svanì presto quel sottile stato di ubriachezza e di torpore, portandosi via anche quel senso di sogno e di armonia interiore che mi aveva pervaso.
Vidi mio nonno che scendeva serenamente e faticosamente le vecchie scale. Aveva stretto nella mano un fiasco di vino, di quello che si beve nelle grandi occasioni. Mi sembra ancora di sentire il profumo del vino misto al sigaro toscano che lui fumava nei momenti di festa.
Le voci della nonna e di mia madre ci richiamarono, mentre dalla cucina scendeva l’aroma del coniglio. Era giunto il tempo di salire nella stanza migliore. Eravamo in tanti attorno alla tavola.

Questa è una storia vera, che ho vissuto poco più che ragazzo e che mi ha sempre accompagnato nella vita. Anche il mio lavoro di pittore è legato profondamente a questi avvenimenti ed a questi luoghi. Qui ci sono le mie radici, qui ci sono i miei “Protagonisti della terra rossa”.
L’amico e critico d’arte Lodovico Gierut ha incaricato me ed altri artisti di disegnare, in occasione di una mostra in Pietrasanta, delle etichette da mettere sulle bottiglie di vino delle più grandi case vinicole italiane e straniere. Così un giorno, non troppo lontano, spero di poter bere, insieme ai pochi amici che mi sono rimasti, una di queste bottiglie, ritornando con loro a quella sera di tanti anni fa, che preso dalla mia curiosità di ragazzo salii lungo la scaletta di legno inebriandomi con il vino di nonno Emilio.


Gian Paolo Giovannetti
Forte dei Marmi, 6 gennaio 2010





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